Motore di ricerca sulla musica popolare

martedì, luglio 15, 2008

ESTREMO SALUTO A VINCENZO ROSANO CANTASTORIE LUCANO

15, Luglio 2008 - È morto Vincenzo Rosano, cantastorie della terra di Lucania.

Oggi, martedì 15 luglio i funerali a Montalbano Joico, il suo paese natio, al quale ha dedicato buona parte della sua vita e passione musicale e di raccoglitore di storia, costumi e cultura popolare.

Cantastorie, ricercatore e divulgatore di canti popolari, collezionista di oggetti della tradizione contadina, Vincenzo Rosano nasce a Montalbano Jonico, provincia di Matera, il 24 luglio 1936.
Figlio di contadini, vive con i genitori e 5 tra fratelli e sorelle, dormendo con loro in un letto unico in una sola stanza in cui erano ricoverati anche l’asino, la capra e il maiale. Abbandona la scuola subito dopo le elementari, come egli racconterà in uno dei suoi canti più belli, U Casiddon’, per contribuire a migliorare la difficile situazione economica familiare, aiutando il padre a pascolare i maiali e lavorando sodo come garzone in una macelleria. Fin da piccolo ha una grande passione per il canto e la musica. A 25 anni si sposa con Rosa D’Alessandro da cui avrà tre figli maschi. Ha vissuto la seconda guerra mondiale, esperienza di cui conserva tristi ricordi. Nel ’59, dopo il servizio militare, inseguendo la sua passione per la musica prende lezioni di canto dal maestro Antonio D’Aprile ed è voce solista nel complesso di “Lucio D’Amico e i suoi” e nei gruppi “Zitos”, prima, e “Sir Arcibald Group”, poi, di cui era anche manager.

In quegli stessi anni partecipa a numerose manifestazioni canore tra le quali il Buttafuori nel ’61 (secondo posto con la canzone “24 mila baci”), il Primo Festival dei complessi nel ‘67, il Festival Interprovinciale nel ’68 (primo posto con la canzone “Un’ora sola ti vorrei”). Negli anni sessanta svolge molti lavori, prima come macellaio, poi come fruttivendolo e noleggiatore ed infine, il 2 dicembre 1971 diventa autista presso il Comune di Montalbano Jonico. Nasce proprio in questo periodo la passione per i canti popolari, così comincia a scrivere le bozze dei primi testi che avrebbero dato inizio, nel 1969 alla sua attività di cantastorie, ricercatore e divulgatore dei canti popolari. Nel 1991 entra per la prima volta in una sala di registrazione, la ZEUS di Napoli, incidendo la sua prima musicassetta, Nustalgie, contenete 10 canti tra cui “U casiddon’”, che rimane a tutt’oggi uno dei suoi canti più conosciuti. Vengono affrontati in quest’opera temi importanti come la scuola, l’emigrazione, gli amori contrastati e il duro lavoro nei campi dei nostri avi. Nello stesso anno tiene un concerto pubblico in piazza davanti a migliaia di persone per presentare la sua prima opera, il cui successo lo spinge a pubblicare negli anni successivi altre raccolte dei suoi canti popolari: “Ritratto” nel 1992, “Ricuordi” nel 1994, “Li mangia mangia” nel 1995. Attraverso i canti di Vincenzo Rosano la comunità ritrova così l’orgoglio d’appartenenza e d’identità. Il cantautore si rende conto che il progresso va avanti e le musicassette non interessano più, e decide di utilizzare nuove forme di linguaggio musicale che comprendano anche il linguaggio audiovisivo. Nasce quindi l’idea di realizzare la prima videocassetta intitolata Ricordi, pubblicata nel 1996, contenete sei nuovi videoclip, che ripropongono usi e costumi della vita contadina ed ambientati nei suggestivi luoghi del borgo antico del paese nativo dell’artista “a Tèrraveccchja”, la Terravecchia. I giovani possono finalmente osservare in video la tipica serenata carnascialesca accompagnata dalla musica monotona del cupa-cupa. Le scene della vita di un tempo sono interpretate da amici ed ammiratori del cantautore e dalla moglie, da sempre sua sostenitrice ed ammiratrice. A seguito del successo di questa prima videocassetta, le pubblicazioni si susseguono con cadenza quasi annuale.

Nel 1997 viene pubblicata la seconda videocassetta dal titolo Tradizioni, con videoclip ambientati in 14 comuni di cui 13 della Basilicata e uno della Calabria. Seguono Storie lontane (1998), Viaggio nel folklore (1999), Voglia di folk (2000), Mamma, tat’ e tatarann’ (2001), Munn’ e’ stat’ e munn’ adda ess’ (2003). La produzione artistica di Vinvezo Rosano comprende ad oggi 86 canti e 55 videoclip pubblicati in 10 audiocassette, 10 cd audio, 7 videocassette, 7 DVD video.

Esistono poi diversi altri testi scritti dal cantautore non ancora musicati e pubblicati. Nel 1988 fonda l’associazione culturale Gruppo di musica e arte, convinto di poter risvegliare la voglia di musica folk a Montalbano e nei dintorni.

Dal 1991 il cantastorie si dedica anche al collezionismo privato di oggetti della tradizione contadina, ricercando oggetti ed attrezzi agricoli attivamente per circa quindici anni su tutto il territorio lucano e nelle regioni limitrofe, con il solo obiettivo di conservare gli antichi oggetti della tradizione insieme al ricordo del tempo passato, per offrire all’intera collettività ed alle generazioni che seguiranno un patrimonio culturale unico.

Nel 1993 fonda, insieme al figlio Antonio, il gruppo Jonico folk, composto di 42 giovanissimi appassionati di musica popolare, provenienti da Montalbano Jonico, Scanzano Jonico e Policoro.

Nel 1998 decide di fondare insieme ai figli Giovanni ed Antonio la società cooperativa PiùMidia di cui è stato fino alla morte responsabile del settore ricerca e divulgazione di canti e tradizioni popolari della cultura contadina.

Ormai in pensione Vincenzo Rosano iha intensificato la sua opera di divulgazione della cultura tradizionale e dei canti popolari, recandosi nei 131 comuni della Basilicata e lasciando le sue pubblicazioni nelle scuole, nei comuni e nelle biblioteche. In seguito comprende l’importanza di arrivare direttamente alla gente per distribuire le sue opere e nel 1999 si iscrive nel registro degli “esercenti professioni e mestieri girovaghi o ambulanti” (al numero 23) del comune di Montalbano Jonico, per esercitare il mestiere di “Cantautore, Ricercatore e Divulgatore di canti popolari”.

Sono migliaia i luoghi e le occasioni in cui Vincenzo Rosano presenta e distribuisce le sue opere: feste padronali, fiere, mercati, abitazioni, attività commerciali, comuni, spedizioni all’estero, ecc.

Il suo banchetto espositivo è corredato dalla televisione che trasmette continuamente i suoi videoclip, facendo giungere le sue note e la sua voce a decine di migliaia di persone che oramai lo riconoscono immediatamente e lo salutano con affetto e calore nelle feste padronali, nelle fiere, per la strada. E’ oramai evidente il successo decretato dal pubblico. Il 6 gennaio 2004 il circolo Culturale L’Arco gli assegna il riconoscimento de “l’arancio d’oro” per aver ricordato le note dei canti popolari di Montalbano montalbanesi sparsi in tutt’Italia e nel mondo.

Nel frattempo Vincenzo Rosano continua a dedicarsi al collezionismo e nel 2006, in circa sei mesi di estenuanti preparativi, allestisce a Montalbano Jonico, insieme al figlio Giovanni, una mostra etnografica di oggetti, canti e video della tradizione contadina intitolata “Mammә, Tatә e Tatarannә”.

Nei 240 mq. della mostra vengono esposti 303 dei circa 600 oggetti della sua collezione privata suddivisi in 11 isole espositive che ripropongono in maniera scenografica: il contadino con la zappa, suo primario attrezzo di lavoro, e l’asino; il pagliaio, ricovero di campagna realizzato in legno e canne e gli attrezzi di lavoro; gli aratri e i finimenti per asini, muli e buoi; il processo di lavorazione della mietitura prima della meccanizzazione; la casa del contadino; il banchetto di promozione usato dal cantastorie per esporre le sue opere nelle feste patronali, nelle fiere, ecc.; uno spaccato del mondo della pastorizia; i giochi per ragazzi; la carretta dell’Ente Riforma Agricola usata dai coloni della riforma fondiaria; un grande traino equipaggiato di tutto punto per il trasporto dei prodotti della terra; degli oggetti fuori scena come mantelli, botti, ecc.

Ogni isola-scena è ricostruita seguendo la traccia dei versi di un canto e le immagini del relativo videoclip e reca in alto delle didascalie-messaggio tratte dagli stessi versi, scritte in vernacolo e trasposte in italiano ed inglese. Ogni scena è poi corredata di legenda esplicativa degli oggetti presenti e del loro uso (con nomi degli oggetti in vernacolo, italiano ed inglese e spiegazioni in italiano ed inglese).

Nella mostra sono state riservate due aree alla “mediateca della memoria” per la proiezione pre e post visita di videoclip e per la consultazione di documentazione multimediale interattiva su personal computer finalizzata all’approfondimento individuale delle tematiche emerse nel corso della visita.

Il 13 luglio 2006, nel corso dell’inaugurazione della mostra, si tiene l’incontro-dibattico “Il patrimonio della cultura tradizionale come risorsa per lo sviluppo di una comunità” in cui sono intervenuti il docente universitario di storia delle trazioni popolari Prof. Ferdinando Mirizzi, il regista Luigi Di Gianni, il critico professoressa Maria Paola Sgro, rappresentanze politiche locali e regionali, ecc.

Hanno potuto visitare la mostra i cittadini e le scolaresche di Montalbano Jonico e turisti.

L’originalità dell’attività del ricercatore, cantastorie e collezionista Vincenzo Rosano è riconducibile da un lato alle sue numerose raccolte audio e video e dall’altra ad una cospicua collezione di circa 600 oggetti della tradizione contadina raccolti e custodita con cura in circa quindici anni.

Le “storie cantate” dall’autore, in vernacolo, richiamano le sonorità dei canti della tradizione popolare, mentre nei filmati, ambientati nei paesi lucani, sono riproposti usi, costumi e tradizioni del mondo contadino, della pastorizia, dell’artigianato e della gastronomia locale, sono rivissute scene toccanti d’emigrazione d’altri tempi e della vita quotidiana, momenti di lavoro nei campi, storie d’amore appassionate e tragiche.

A parere del critico Prof.ssa Paola Sgro, “… non è soltanto la nostalgia che sollecita Vincenzo Rosano a fermare la sua attenzione su alcuni aspetti del tempo passato e a delinearne caratteristiche essenziali, contorni e risvolti. Il sentimento nostalgico attraversa indubbiamente musiche, note, e versi, ma quasi in maniera inconsapevole. I caratteristici toni della “storia cantata” e la indiscussa padronanza nell’uso del vernacolo sono, del resto, elementi tangibili e segni manifesti del desiderio di un ritorno a situazioni già trascorse che si vorrebbero rivivere. Ma non è sicuramente la nostalgia la molla da cui scaturiscono le emozioni di questo straordinario cantastorie che è Vincenzo Rosano. Motivazioni e percezioni emotive affondano infatti le radici in un mondo di cui Rosano sente consapevolmente – e direi quasi orgogliosamente – di far parte e questo suo “sentire” lo rende fiero come chi sa di possedere gli strumenti per riscoprire quei tesori che, accidenti, uomini e cose, in balia del tempo, hanno sconsideratamente sepolto. Tesori, quali il complesso dei valori che il tempo con il suo scorrere veloce, investendo uomini e cose, ha alterato, e che gli uomini purtroppo si sono lasciati sfuggire di mano.” A nome dell’intera comunità montalbanese il sindaco Leonardo Giordano ha espresso la gratitudine a Vincenzo per avere voluto e saputo recuperare angoli della cultura popolare e delle tradizioni montalbanesi che rischiavano di perdersi per sempre.

Unico rammarico il primo cittadino di Montalbano Jonico è quella di non essere riusciti a realizzare in tempo il museo contadino, al quale tanto ci teneva Vincenzo Rosano. “Lo faremo – ha detto – e lo dedicheremo a lui. Almeno questo glielo dobbiamo”.

GIUSEPPE ROTUNNO

http://www.lucanianews24.it/?p=1296

martedì, maggio 27, 2008

Nuovo cd degli Ethnos "Le tre sorelle".

C'è grande attesa per giovedì 5 Giugno quando uscirà il nuovo cd degli Ethnos "Le tre sorelle".

Ancora una volta gli Ethnos mantengono fede all'impegno assunto alla loro nascita nel 2003, quando partirono all'insegna di un progetto di rivalutazione della tradizione artistica popolare lucana.

Il nuovo disco è la piena espressione del Gruppo lucano che con questo lavoro vuole confrontarsi con il pubblico più esigente e colto, quello che chiede di coniugare sonorità moderne, rispetto per la tradizione ed eccellenza esecutiva.

Gli Ethnos, da molti considerati un gruppo apripista nel settore della musica di ispirazione tradizionale, con questo nuovo CD promettono di imporre un nuovo modo di affrontare il complesso mondo della musica trasmessa oralmente.

Questo disco non è soltanto una operazione di equilibrismo tra tradizione e modernità, ma esplora i più intricati meandri della musica di tradizione orale cercando di portare alla luce e di enfatizzare la inaspettata modernità dei moduli melodici e ritmici nascosti tra le pieghe di sonorità che hanno centinaia di anni.

L'esplorazione del linguaggio profondo della musica tradizionale consente agli Ethnos non solo nuove letture interpretative, ma anche di ritrovare nelle tarantelle e nelle ballate richiami e similitudini con musiche tradizionali di altri paesi europei o addirittura di altri continenti.

Altra caratteristica di questo lavoro è l'accurata scelta dei materiali proposti: un attento e sapiente lavoro di ricerca, guidato da una forte passione per la riscoperta delle musiche tradizionali e da una curiosità istintiva.

Non è possibile, poi, rimanere indifferenti di fronte al virtuosismo musicale che caratterizza molti dei brani presenti nel CD. D'altra parte stiamo pur sempre parlando di musicisti del calibro di Graziano Accinni, di Franco Accinni, Silvio De Filippo, Marco Tirone, Sal Genovese, Gegè De Filippis e Sergio Leopardi.

Tutti artisti che hanno ereditato non solo la bravura ma anche la passione per la musica da portatori di tradizione come - solo per fare un esempio - il grande Pietro Di Lascio, che ha ispirato alcuni dei brani contenuti in questo CD e che gli Etnos, grazie all'elettronica, accompagnano in uno dei brani.

Questo lavoro, quindi, è anche un tributo agli anziani musicisti popolari, un modo per fissare un momento storico, culturale ed estetico che stava svanendo dalla memoria collettiva, e questo è un grande punto di merito e di orgoglio per gli Ethnos.

Ma questa volta l'ambizione è anche un'altra.

Gli Ethnos hanno messo insieme, per la prima volta, tre grandi sorelle musicali del Sud Italia - la Lucania occidentale, il Cilento lucano e le Puglie – enfatizzando la profondità arcaica della musica lucana, le contaminazioni proprie della musica cilentana e la solarità dei ritmi del Gargano e della Murgia pugliese.

Musicisti provenienti dalle "Tre sorelle" hanno contribuito a questo lavoro: Davide Cervellino, chitarrista di Oppido Lucano, Dino Rigillo, chitarrista Maestro e concertista di Ginestra, il Maestro flautista Antonio Cimino del Vallo di Diano, i Cilentani Pietro Ciuccio, Angelo Loia,Davide Sorrentino e Tommaso Sollazzo, dalla Puglia la chitarra Battente del Gargano di Enzo Valente e Angela Castelluccia.

Nel CD si può ascoltare anche la Corale "Regina Anglonensis"della Cattedrale di Tursi (Matera) diretta dal Maestro Francesco Muscolino.

Un altro merito di questo lavoro è quello di aver portato nella tarantella lucana la chitarra battente.

Questo strumento – che è la vera chitarra italiana – è quasi totalmente estinto in terra di Lucania, ma grazie agli Ethnos torna a far sentire la sua antica voce.

L'originalità e la raffinatezza si ritrova anche nella progressione dei brani che non è mai banale: si alternano i temi della devozione religiosa popolare delle "tre sorelle" alla danza, i canti di "gioco" a quelli licenziosi.

E come non parlare del libretto allegato al Cd. Un vero e proprio scrigno prezioso di testi ed immagini assolutamente inedite e di grandissimo valore demo-antropologico.

Insomma, la promessa sembra più che credibile, e siamo anche certi che nonostante il grande lavoro compiuto in fase creativa ed in sala di registrazione, la dimensione del confronto diretto con il pubblico e della festa popolare sarà un altro punto di forza di questa nuova creazione degli Ethnos.

Dal 5 Giugno in anteprima con il quotidiano la "Nuova del Sud".

mercoledì, aprile 16, 2008

CONCORSO LETTERARIO “LUOGHI E VOLTI DI BASILICATA” 2008

In occasione del secondo anno di attività, l’Associazione Culturale LucaniArt bandisce un Concorso Letterario dal titolo “Luoghi e volti di Basilicata”.

Ciascun autore è invitato a rappresentare, attraverso le proprie corde interiori ed emotive, l’odierna realtà territoriale lucana, le dinamiche sociali, le contraddizioni tra arcaicità e modernità dei luoghi, la tensione tra diversità e omologazione in chi è rimasto e la percezione della stessa in chi andando via ha prodotto una frattura con l’origine.

Un esistenzialismo moderno che aiuti a capire il vissuto, i radicamenti e/o i mutamenti della nostra terra. Racconti brevi, reportage, diari, piccole prose e testi poetici, non superiori alle 3 cartelle dattiloscritte, dovranno essere inviati all’indirizzo e-mail lucaniart@libero.it corredati di indirizzo e una breve nota biografica dell’autore.

Ogni autore può partecipare con un massimo di due opere.

Termine per la presentazione dei lavori 15 giugno 2008.

Gli autori selezionati saranno avvisati personalmente e verranno inseriti nell’antologia "Luoghi e volti di Basilicata" che sarà pubblicizzata e divulgata attraverso comunicati stampa e manifestazioni pubbliche in cui saranno invitati a partecipare gli autori stessi.

LucaniArt Magazine: http://lucaniart.wordpress.com

giovedì, marzo 06, 2008

Beni immateriali in azione

BENI IMMATERIALI IN AZIONE
sonorità, testimonianze e voci del presente

Nell'ambito della X Settimana della Cultura: una festa per tutti promossa dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali

il Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari

Istituto Centrale per la Etnoantropologia
in collaborazione con il

Network per la tutela del patrimonio immateriale

organizza la manifestazione

BENI IMMATERIALI IN AZIONE
sonorità, testimonianze e voci del presente
domenica 30 marzo 2008, dalle 10.00 alle 19.30, a Roma presso il presso il Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari, in Piazza Marconi 10

In occasione della creazione dell’Istituto Centrale per la Etnoantropologia, il Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari, diretto da Stefania Massari, in collaborazione con il Network per la Tutela del Patrimonio Immateriale, promuove una giornata - nell'ambito della X Settimana della Cultura: una festa per tutti promossa dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali - dedicata al confronto con portatori di tradizione, artigiani, musicisti, associazioni e rappresentanti di comunità locali di varie regioni italiane, che offriranno al pubblico il loro contributo volontario e gratuito per testimoniare il valore e l'importanza del patrimonio immateriale.

Sarà dato ampio spazio alle testimonianze di quanti vivono e operano all’interno delle comunità e sono impegnati direttamente nel mantenimento e nel rinnovamento della tradizione.

Un incontro all’insegna del diritto di parola, di canto, di suono e di danza. Un invito aperto a chiunque abbia a cuore il futuro di una parte importante dell'identità culturale del nostro Paese, per discutere dei problemi relativi alla salvaguardia dei beni immateriali.

Un evento unico dove sarà possibile ascoltare, negli spazi museali, il suono di arpe popolari, zampogne, ciaramelle, tamburelli, organetti, strumenti musicali effimeri e chitarre battenti.

Lungo l'arco della giornata, inoltre, sarà presentato la Fujara, strumento tipico della Repubblica Slovacca inserito nella Lista UNESCO dei capolavori del patrimonio immateriale.

Un ringraziamento particolare all'Ambasciata della Repubblica Slovacca e all'Istituto Slovacco di Roma.


Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari
Piazza Marconi 8 – Roma (EUR)
Trasporti: 30 Express, 170, 714, 791, Metro B fermata Eur Fermi
info: edesimoni@beniculturali.it



Partecipanti

REPUBBLICA SLOVACCA
Drahomir Dalos (Fujara)

BASILICATA

Luigi Milano (Arpa popolare lucana)
Lucia Corbo
Rocco De Rosa
Giuliana De Donno (Arpa popolare lucana)
Massimo Monti (Liuteria - arpe popolari)

Associazione Ethnos
Graziano Accinni, Franco Accinni

Associazione Gli Amarimai
Giovanni Romagnano, Idelma Brunone, Antonio Conte, Selio Cantiani, Giovanni Darago, Barbara Lombardi
Dalila Lombardi, Manuel Lombardi, Barbara Paoliello, Mara Petrocelli, Egidio Tucci
Associazione Gruppo Suoni
Leonardo e Francesca Riccardi

Associazione per il turismo sostenibile Hobo Sapiens

Associazione Totarella
Pino Salamone, Pino Altieri, Antonio Arvia, Paolo Napoli, Saverio Marino
Domenico Miraglia

Rappresentanti della comunità albanese del Pollino

CALABRIA

Massimo Cusato, Massimo Diana

Demetrio Bruno e i suonatori di Cataforio

CAMPANIA

Luca De Simone, Gennaro De Simone, Anastasia Cecere, Sara Tarantino

LAZIO

Le Donne di Giulianello
Viviana Colandrea, Virginia Giordani, Auria Marchetti, Nazarena Maurizi, Morena Pasquali
coordinate da Raffaello Marchetti

Gabriella Aiello

Museo delle Tradizioni Musicali della Campagna Romana
Alessandro Mazziotti
Marco Tomassi, Matteo Assennato, Bianca Giovannini, Riccardo Lucantoni
Marco Cignitti

Associazione La Piazza
Giuseppe Pontuali, Simone Colavecchi, Gabriele Modigliani, Sara Modigliani

Raffaele Mallozzi

Massimo Berretta
Raffaello Simeoni
MOLISE

Circolo della Zampogna di Scapoli
Antonietta Caccia, Guido Iannetta, Andrea Di Fiore, Mauro Gioielli, Lino Miniscalco, Achille Porfirio, Emanuele Rufo, Ivana Rufo, Walter Santoro

PUGLIA

Antonio Piccininno (Cantore di Carpino)

Francesca Chiriatti

Associazione Culturale Carpino Folk Festival
Luciano Castelluccia, Antonio Basile, Michele Ortore, Alessandro Sinigagliese

Associazione Pizzicata
Carlo Trono

SICILIA
Pietro Cernuto, Francesco Salvadore

TOSCANA

Archivio video della Commedia dell’Arte
Enzo Aronica, Luciano Brogi

UMBRIA

Suonidumbra
Barbara Bucci, Marco Baccarelli, Lorenzo Salvatori, Franz Albert Mayer

Interverranno inoltre

I pellegrini abruzzesi al Santuario del Divino Amore di Roma

Organizzazione
Emilia De Simoni
(Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari)

Barbara Terenzi, Giuseppe Torre
(Network per la Tutela del Patrimonio Immateriale)

Assistenza tecnica
Stefano Sestili, Simonetta Rosati

Assistenza logistica e organizzativa
Luana Spilinga

Uffici stampa
Antonio Basile - A.C. Carpino Folk Festival
info@carpinofolkfestival.com
Giulia Pigliucci, Sabrina Regno – Associazione di’Dee
mailto:di’Deecomunicazione.add@libero.it 06 70 30 94 98

Comunicazione Web

GalloItalica (Saverio Romeo)
Pizzicata ( Carlo Trono )
LucaniArt (Maria Pina Ciancio)
VivereGratis

Riprese audio e video
Pietro Silvestri
Giorgio Tupone
coordinamento: Stefano Sestili

Associazioni sostenitrici
Centro Studi Lucani nel Mondo
Associazione LucaniArt
Associazione Molisani Forche Caudine
Rivista La Perla del Molise
Associazione Musicale abruzzese DisCanto
La Casetta di Cioccolata
Teatro di Nascosto/Hidden Theatre

Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari
Piazza Marconi 8 – Roma (EUR)
Trasporti: 30 Express, 170, 714, 791, Metro B fermata Eur Fermi
info:
edesimoni@beniculturali.it

mercoledì, febbraio 27, 2008

La chitarra battente sul palco di Sanremo



La chitarra battente rappresenta uno dei simboli più nobili, belli e antichi del nostro Paese, come il buon pane, la pasta, il caffè di questo meraviglioso Paese.

"Chitarra battente", "chitarra mandola", "guitare en bateau", "guitare capucine", "guitare toscane-chitarra toscana", "chitarra a volta-wolbgitarre". Molteplici denominazione per un solo strumento, quello a cinque corde che fra il XVIII e il XIX secolo influenzò molta della musica e della danza italiana e che è giunta fino a noi quasi totalmente immutata.

I primi documenti scritti sulla chitarra detta "battente" sono della metà del ‘600.

Questo strumento, tutto italiano, si differenziava dalla chitarra spagnola (quella che comunemente chiamiamo ancora oggi chitarra) per avere i tasti fissi, ottenuti intarsiando delle sbarrette di metallo o avorio sulla tastiera, e perché il suo ponticello era mobile, tenuto in posizione dalla tensione delle corde. Queste caratteristiche fanno pensare che sullo strumento fossero normalmente montate corde di metallo (ottone o acciaio a bassa tempera).

La chitarra battente trae origine quasi sicuramente da quella barocca, tuttavia, col passare dei secoli, la chitarra barocca ha subito molte trasformazioni fino alla sua forma attuale, mentre la chitarra battente, salvo particolari trascurabili, è rimasta per lo più identica. Non a caso, la famiglia dei famosi liutai De Bonis, per la piegatura delle fasce, utilizza ancora oggi delle forme del 1700.

Strumento diffusissimo fino ai primi decenni del nostro secolo, attualmente è presente in Calabria, Cilento, Gargano, Campania, ma è stato relegato ad ambiti musicali sempre più ristretti, per cui i numerosi costruttori hanno quasi smesso di costruire questo antico strumento.

Il suono della chitarra battente è uno dei simboli delle tradizioni musicali italiane, tradizioni che attendono da molto tempo di essere tutelate e protette.

Questa tutela sembra essere ormai a portata di mano grazie alla Convenzione dell'Unesco in materia di patrimonio culturale immateriale. Infatti la convenzione finalmente disciplina un settore sinora scarsamente riconosciuto dal punto di vista giuridico, comunemente definito come “cultura tradizionale”, “folclore” o “cultura popolare”.

In particolare la Convenzione mirerebbe a salvaguardare, promuovere e condurre attività di ricerca sulle forme di espressione culturale tradizionali quali la musica, le leggende, la danza nonché il sapere tradizionale relativo all’ambiente e alle tecniche artigianali, ponendo al centro dell’attenzione l’importanza della trasmissione orale e la pluralità globale delle forme tradizionali di espressione culturale.

mercoledì, gennaio 16, 2008

Sviluppo insostenibile

Girando per valli e per monti della nostra splendida regione, ci siamo spesso imbattuti in giovani lucani che cantavano una truce litania:

"quanto siamo sfortunati, quanto siamo lontani dal mondo, quanto siamo poveri, quanto siamo arretrati, ..."

"beati quelli che vivono nelle grandi città, beati quelli che hanno una connessione internet veloce, beati quelli che sanno cosa fare la sera, ecc..."

"vorrei fare la velina ma non posso, vorrei fare il calciatore ma non posso, vorrei fare la ballerina ma non posso, vorrei farmi la plastica al naso ma non posso...."

Tutti questi ragazzi - che abbiamo incontrato nel corso delle nostre "spedizioni" - hanno in comune una cosa: nessuno conosceva le risorse naturali, immateriali o materiali della propria città/paese/valle.

Spesso, inoltre, questi ragazzi e ragazze accompagnano la loro litania con abbondanti dosi di cannabis o alcol.

Poi abbiamo incontrato giovani che abbiamo definito "Quelli che ballano la Tarantella". Ossia ragazzi e ragazze che non conoscono affatto quella litania, ma in compenso conoscono tutto del loro paese (la storia, le tradizioni, le ricette, il dialetto, gli angoli più suggestivi, ecc...)

A questo punto gli antropologi presenti nel nostro gruppo - seduti al tavolino di un bar di un piccolo paesino del Pollino - si sono messi a dire cose strane, incomprensibili. Parlavano di "teoria delle finestre rotte", Gemeinschaft und Gesellschaft, crescita o sviluppo, ecc...

Ad un certo punto si avvicina un vecchietto piccolo piccolo e dice, in dialetto: "Voi non avete capito niente. I nostri giovani sono così depressi perchè hanno perso la Consonanza e l'Armonia".

Consonanza? Armonia? Ma certo! Pitagora, Ocello Lucano, Metaponto, Montescaglioso....

Ma tutto questo che c'azzecca con lo sviluppo?

C'azzecca, c'azzecca.....

A questo punto eravamo eccitatissimi, ma delle tesi di Pitagora avevamo solo vaghi ricordi liceali.

Tornati in sede abbiamo subito condiviso questa esperienza con i filosofi del nostro network, i quali ci hanno ricordato che si sa ben poco del grande pensatore vissuto in Lucania e che gran parte di quello che sappiamo ci arriva da suoi discepoli o dai suoi oppositori (politici o filosofici).

Ma alcune cose le sappiamo con certezza, ad esempio, sappiamo è che gran parte del suo pensiero si concentra sul rapporto tra uomo e natura e sul fatto che solo attraverso la conoscenza l'uomo di avvicina alla sua vera natura e all'Armonia.

Di qui tutti gli studi sulla matematica, la geometria, la musica, ecc...

Ecco le parole chiave: Conoscenza; Rapporto tra uomo e natura; Consonanza; Armonia.

Ma non finì qui.

Fummo invitati al concerto di un grande musicista lucano - Rocco De Rosa - che nel bel mezzo di composizioni minimaliste se ne esce con una roba incredibile: un suo componimento che si chiama STO.

Spiegò che aveva composto questo pezzo ispirato dall'atteggiamento filosofico degli anziani lucani.

Rocco un giorno si avvicinò ad uno dei suoi anziani concittadini, seduto su una panchina, con gli occhi persi nel vuoto delle nostre colline, e chiese:

Rocco: "Zì 'ntò, che fai?"
E Zì 'nto: "Sto!"

R: "Che vuol dire: stai?"
ZA: "Rocco, io non staio. Ho detto che Sto!"
R: "E che differenza c'è?"
ZA: "Ahhh, Rocchi, ma a te la capitale t'ha fatto male. Hai dimenticato tutto, pure gli Antichi"
R: "Antichi? Di che Antichi parli?"
ZA: "Marò! Sei diventato proprio un barbaro. Ti sei pure scordato la storia degli Antichi, quella di Achille e della tartaruga"

Achille e la tartaruga!!!!!

Porca miseria. Il vecchio parlava di Zenone, di Parmenide, della scuola di Elea.

Fummo portati a pensare che queste fossero casualità, ma presto ci accorgemmo che non era affatto così.

Dopo qualche mese ci invitano a tenere un seminario sul patrimonio immateriale in un piccolissimo paese del cuore della Lucania.

Con noi c'era Rasche, un tedesco stranissimo e coltissimo che si occupa di musica antica e musica religiosa medievale.

Stranamente la saletta del centro sociale era gremitissima. Cominciamo il nostro seminario e arriviamo a parlare di zampogna in Lucania.

Ad un certo punto il pubblico comincia a guardare con insistenza un vecchietto che ad un certo punto - non potendone più fare a meno, vista l'insistenza tacita dei concittadini - caccia da una borsa da pastore una stranissima zampogna, una via di mezzo tra una zampogna a chiave ed una surdulina, gonfia l'otre e comincia a suonare.

Rasche a questo punto sembra come impazzito. Ride, si agita sulla sedia, non riesce tener ferme le braccia, si alza si risiede, prende appunti, scrive formule matematiche,....

I "suoni" si placano, la sala è ammutolita.

Rasche si catapulta sul vecchietto e comincia a gridare come un ossesso frasi apparentemente senza senso: "...intervalli di quinta, intervalli di ottava, monocordo, logaritmi...."

Il vecchio lo guardava impassibile con un leggero sorriso, ma non rispondeva alle migliaia di domande di Rasche.

"Rasche calmati! Che è successo? Facci capire."

Rasche: "Questa zampogna è accordata su una scala pitagorica modificata. La scala pitagorica è stata in uso fino al medioevo e poi è stata sostituita da altre scale. Questa zampogna ci ha portato indietro nel tempo di almeno 800 anni se non addirittura di 2500. Quella musica la sentivano alla corte di Federico II e a Metaponto a Taranto ad Atene, a Roma a... a..... Ma vi rendete conto! Nooo voi non vi rendete conto. Quello strumento vale tanto quanto il Colosseo o la cappella sistina o la Pietà di Michelangelo. LO CAPITE?"

Silenzio.

Quello strumento è arrivato fino a noi, immodificato, semplicemente sulla base della trasmissione orale della conoscenza.

A questo punto il tedesco era scatenato, sale in cattedra e comincia a parlare di musica medievale, canto gregoriano, musica alchemica, musica pitagorica, musica federiciana, di musica celata nei simboli impressi sulle tele medievali o celata nelle architetture delle chiese, di Bach, di passacaglia, di scale musicali arcaiche, di tarantella, di parallelismo tra tarantismo tedesco, spagnolo, berbero e apulo-lucano, di discanto, ecc....

Noi eravamo terrorizzati. Temevamo che l'uditorio si spazientisse o si annoiasse. E invece no. Stavano tutti attentissimi e annuivano. Alcuni addirittura intervennero o fecero delle domande.

Uno spettacolo incredibile.

Alla fine del seminario, durato un'ora più del previsto. Si avvicina un prete, vecchissimo, e ci invita a seguirlo.

Ci porta in un archivio al quale ha accesso solo il clero e ci mostra degli antichi manoscritti miniati.

Su questi manoscritti c'era di tutto: studi storici, archeologici, demo-antropologici, trascrizioni di canti e musiche popolari, riproduzioni di strumenti musicali e passi di danza popolare.

Un tesoro, un vero immenso tesoro.

Il tedesco, a questo punto, era totalmente fuori dalla grazia di Dio, e rivolse al prete la fatidica domanda:

"Ma questo materiale è del tutto sconosciuto. Perché non lo pubblicate? Perchè non consentite agli studiosi di accedere a questa miniera di Sapere e di Conoscenza?"

Il prete sorrise e rispose così:

"Non è ancora giunto il tempo.

Questo materiale sta qui celato da centinaia di anni e molti anni dovranno ancora passare prima che esso veda la luce.

Se oggi lo pubblicassimo non ci sarebbero risorse a sufficienza, umane e monetarie, per studiarlo compiutamente e accadrebbe quello che è già successo in passato: qualcuno costruirebbe la sua carriera universitaria su queste antiche pagine senza dare niente in cambio, in termini di crescita culturale e sociale, a questo paesello dimenticato dagli uomini, ma non da Dio".

Aveva ragione. Aveva maledettamente ragione.

Ma io non mi arresi e dissi: "Padre, lei ha ragione, ma non si potrebbe far studiare queste carte ai giovani di questo Paese?"

E lui: "Ci ho provato, ma nessuno dei giovani di questo paese crede che queste siano cose importanti.

Tutti pensano che oggi sia importante l'informatica, le veline, viaggiare, scoprire il mondo, il Grande Fratello, bere acqua minerale francese, ...

Tutti loro pensano che il mondo sia fuori da questo paese e non vedono che invece in questi luoghi è nascosto un universo infinitamente più interessante e ricco di quello al quale riusciranno ad accedere una volta andati via di qui."

Segue...

venerdì, ottobre 19, 2007

martedì, maggio 29, 2007

Eventi da non perdere





Corsi, seminari e stage

Gabriella Aiello
Canto di tradizione orale, presso L'ottava

Andrea Piccioni
Tamburi a cornice
Percussioni arabe
Percussioni

Micrologus
Strumenti antichi
Danza e canto medievale e rinascimentale
Strumenti a fiato e ad arco

Associazione Taranta
Danza popolare

Totarella
Zampongne
Tamburi a cornice
Danza e canto popolare

Gruppo Suoni
Zampongne
Tamburi a cornice
Danza e canto popolare

Alessandro Mazziotti
Zampogne

Giuliana De Donno
Arpa

Mauro Tiberi
Tecniche di sviluppo vocale
Canto Armonico

Altre date e corsi
Alfonso Toscano
Pizzicata
Circolo Bosio

martedì, maggio 22, 2007

mercoledì, maggio 09, 2007

TarantEconomy: L'economia della Tarantella

Secondo molti economisti, la principale causa del continuo deterioramento dell’ambiente è strettamente correlata alla diffusione di modelli insostenibili di produzione e di consumo.

Dal mio punto di vista l’adesione a forme di produzione e consumo non sostenibili ed irrispettose dell’ambiente deriva anche dalla perdita della memoria e dell’identità culturale.

Oblio della memoria e smarrimento della identità determinano l’adesione acritica a stili di vita dettati da esigenze commerciali esogene e portano inevitabilmente all’indebolimento della coesione sociale, del processo democratico e della competitività sociale, oltre che al depauperamento delle risorse naturali ed immateriali del territorio.

Le risorse naturali ed immateriali di un territorio assumono una valenza fondamentale nei processi di crescita e sviluppo regionale basati sulla valorizzazione e sulla creazione di risorse specifiche e uniche a livello locale in grado di competere con l’esterno e con il globale.

Oggi è necessario saper creare un mix di risorse (umane, naturalistiche, finanziarie, tecniche, ecc…) unico in cui riconoscersi e farsi riconoscere.

Nella competizione globale anche i territori devono poter farsi identificare per delle specificità distintive. Chi non é visibile e riconoscibile non esiste, quindi non partecipa ai giochi competitivi.

Tuttavia per competere occorre essere competitivi e due tra i più importanti motori della competitività sono:

la "competitività sociale", ossia la capacità dei soggetti di intervenire insieme, efficacemente, in modo coordinato e cooperativo, sulla base ad una stessa "visione del futuro". La competitività sociale è un modo di pensare, una vera e propria "cultura", che si basa sulla fiducia reciproca, nonché sulla volontà e la capacità di riconoscere, esprimere e strutturare in modo articolato interessi individuali e collettivi.

la "competitività ambientale", intesa come capacità dei soggetti di valorizzare l'ambiente in quanto elemento "distintivo" del loro territorio, garantendo al contempo la tutela e il rinnovamento delle risorse naturali e del patrimonio.


Per garantire la continuità culturale e il rafforzamento delle identità sociali regionali e nazionali, ma anche per promuovere la coesione sociale e il dialogo interculturale l'UNESCO si è fatta promotrice della Convenzione per la salvaguardia del Patrimonio Culturale Immateriale.

Questa convenzione disciplina un settore sinora scarsamente riconosciuto dal punto di vista giuridico, comunemente definito come “cultura tradizionale”, “folclore” o “cultura popolare”.

In particolare la Convenzione mira a salvaguardare, promuovere e condurre attività di ricerca sulle forme di espressione culturale tradizionali quali la musica, il teatro, le leggende, la danza nonché il sapere tradizionale relativo all’ambiente e alle tecniche artigianali, ponendo al centro dell’attenzione l’importanza della trasmissione orale e la pluralità globale delle forme tradizionali di espressione culturale.

La Convenzione vincola gli Stati contraenti ad adottare a livello nazionale le misure necessarie per garantire la sopravvivenza del proprio patrimonio culturale immateriale e li esorta a collaborare a livello sia regionale che internazionale in vista di questo obiettivo.

Le misure di salvaguardia previste dalla Convenzione comprendono l’identificazione, la documentazione, la ricerca, la salvaguardia, la tutela, la protezione, la valorizzazione, il trasferimento e la rivitalizzazione dei diversi aspetti del patrimonio culturale immateriale.

La Convenzione invita gli stati membri a collaborare strettamente con i portatori del patrimonio culturale immateriale ai fini del rafforzamento della consapevolezza dell’importanza del patrimonio culturale immateriale.

I principali strumenti previsti dalla Convenzione al raggiungimento di tali scopi sono:

la stesura di una “Lista rappresentativa del patrimonio culturale immateriale dell’umanità” e di una “Lista del patrimonio culturale immateriale che necessita di essere urgentemente salvaguardato”;

l’istituzione di un “Fondo per il patrimonio culturale immateriale“, alimentato dai contributi degli Stati contraenti della Convenzione e da altre fonti, per supportare e finanziari gli Stati stessi nell’adempimento dei loro obblighi.


Fondo per il patrimonio culturale immateriale

Con la Convenzione viene istituito un “Fondo per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale” (art. 25). Gli Stati contraenti si impegnano a versare almeno ogni due anni un contributo al fondo, la cui entità viene calcolata in base a un coefficiente unitario valido per tutti gli Stati e stabilita dall’Assemblea generale, ma che non può superare l’1 per cento del contributo regolare di uno Stato contraente al bilancio preventivo regolamentare dell’UNESCO (art. 26 cpv. 1).

Per altre informazioni:
www.unesco.org/culture/ich/index.php?pg=00052

martedì, maggio 08, 2007

Musica popolare: moda, arte o cultura?

Secondo la libera enciclopedia Wikipedia http://it.wikipedia.org/wiki/Musica_popolare, con il temine musica popolare si indica:

Un particolare genere musicale che affonda le proprie radici nelle tradizioni di una determinata etnia, popolazione o ambito geografico".

Io aggiungerei che la musica popolare è la "trasposizione musicale della storia, della culturale e del carattere di un’etnia o di un popolo".

E' la colonna sonora dei riti della tradizione popolare, dai riti di passaggio (nascita, matrimonio, morte, ecc...) al lavoro, al gioco, alla devozione religiosa, al corteggiamento, allo svago, alla sfida, alla medicina popolare,....

Ha alcune caratteristiche peculiari:

- si basa spesso sull'improvvisazione e sull'interazione tra gli attori presenti sulla "scena" (cantatori, ballerini e spettatori);
- spesso non segue le regole della musica "colta", in termini di scale musicali, ritmi, ecc..
- è enormemente diversificata, perchè ancorata ai dialetti o a strumenti musicali presenti solo in certe aree;
- è il risultato della sintesi di sonorità provenienti da culture ed ere diverse (es. berberi, spagnoli, francesi, greci, musiche medievali, ecc...) ed è in continua evoluzione

Pertanto, la musica popolare non può essere assimilata ad una manifestazione artistica. Essa è una manifestazione culturale, come il dialetto, la filosofia di vita, i proverbi, le credenze, ...

E' la colonna sonora dell'identità di un popolo.

Insomma, una roba enormemente diversa da quella che si esegue sui palchi, dalla riproposta, ecc.... che altro non sono che manifestazioni artistiche di una sola delle componenti della musica popolare: il suono.

Ma le manifestazioni artistiche si esauriscono, le mode si estinguono, la cultura e l'identità di un popolo no.

In quanto tale, essa consente di viaggiare nel tempo, perchè nella maggior parte dei brani giunti fino a noi confluiscono secoli di storia e di storie che si sono stratificati, mutando nei secoli, fino a sintetizzarsi in quello che è oggi, che è diverso da quello che sarà domani.

Pertanto, chi fa musica popolare non solo dovrebbe cogliere netto e distinto l'eco di queste storie lontane, ma – soprattutto - dovrebbe essere in grado (o mettersi in condizione) di trasmetterle a tutti, anche a chi ha la mente ottenebrata dal Festival di San Remo.

La Musica Popolare consente di viaggiare nello spazio. In essa, infatti, riecheggiano strumenti, voci e sonorità provenienti da tutto il mondo.

Sopra o sotto un palco, alla Notte della Taranta o in una cantina di quart'ordine, la MP deve essere SEMPRE declinata sul versante culturale, oltre che su quello strettamente musicale.

Non dico che i concerti debbano essere preceduti da lezioni di storia o etnomusicologia, dico semplicemente che nell’eseguire un brano occorre enfatizzare al massimo la sua dimensione intrinseca.

Ed ecco perchè invito, soprattutto i più giovani, a scendere dal palco (e non solo in senso metaforico). Perché solo tra la gente, solo a contatto con i loro volti si riesce a cogliere l'effetto prodotto da quelle note: l'ingresso in una dimensione diversa, quello culturale, dell'Io più profondo, quello della storia che è dentro di noi, quello dei geni provenienti da genti diverse (a cui oggi sbarriamo il passo, a cui oggi riserviamo veri e propri lager)

Ho visto "complessi" esibirsi in meravigliose pizzicapizzica-tarantata-scherma-tammurriata, far sfoggio di ballerine in stato di trance. Non uno straccio di commento, di spiegazione, di contestualizzazione.

Solo folklorismo, chiacchiere e tamburello.

Ascoltate e osservate questo musicista

http://www.alfonsotoscano.it/valentino%20santagati%20al%20bosio.wmv

ascoltare l'ultimo lavoro di Milagro Acustico, leggete “Ritmo Meridiano” di Roberto Raheli, ascoltate i tamburi di Andrea Piccioni o "Voc' e mare" di Nando Citarella.

Che cosa fanno questi signori? Non fanno musica, non scrivono parole. Fanno Cultura.

Esempi:

Questo brano degli Auriko è scaturito dai moti di Scanzano Jonico per scongiurare la costruzione del deposito nazionale di scorie nucleari ed è stato eseguito a Scanzano in un preciso contesto popolare di protesta.

http://www.auriko.it/mp3/Auriko%20-%2001%20Sciscena%20mbriscena%20-%2002%20Radioactivity.mp3

Può piacere, può non piacere (dal punto di vista meramente estetico musicale), ma è stato, a mio avviso, musica popolare (non tradizionale) nel momento in cui è stato funzionale ad un rito collettivo: quello della protesta.

Anche se cantato in tedesco (?) e su una base di tammurriata/pizzica/tarantella.

Quando quello stesso brano si riversa sul pubblico da un palco, cessa di essere "popolare".

lunedì, marzo 05, 2007

Canti di Passione


Canti di Passione - I Passiuna tu Cristù
Le lingue minoritarie, in quest’era di globalizzazione, rischiano costantemente l’estinzione.
E’ stato calcolato che negli ultimi quattro secoli sono morti all’incirca mille idiomi tradizionali.
Poiché la lingua è sempre legata alla società e alla cultura che l’esprime, quando muore una lingua muore anche un sapere sulle arti, sulla religione, la medicina, la musica.
Delle minoranze etniche-linguistiche che hanno lungamente fatto parte della società pugliese (greca, franco-provenzale, croata albanese) la più antica

è quella greca il cui linguaggio viene chiamato grico o grecanico.
Oggi quest’isola culturale, conosciuta come Grecìa Salentina, situata a sud di Lecce, nel Salento, comprende i paesi di: Calimera, Carpignano Salentino, Castrignano dei Greci, Corigliano d’Otranto, Cutrofiano, Martano, Martignano, Melpignano, Soleto, Sternatia, Zollino.
Il dialetto grico parlato da questa minoranza salentina è di incontestabile derivazione greca, ma le sue origini storiche hanno dato origine ad un vivace dibattito .
Alcuni filologi hanno rivendicato per queste comunità un’antica ed ininterrotta discendenza dalla colonizzazione greca iniziale, altri hanno asserito la ri-ellenizzazione bizantina .
L’ipotesi dell’antichità sia del dialetto che della cultura grica potrebbe essere supportata dalle stesse tradizioni musicali e poetiche griche.
Per esempio nelle lamentazioni funebri (moroloja) possono essere trovati resti culturali mitici e leggendari della Grecia antica, caduti in disuso nel centro culturale (la Grecia) e conservati invece in periferia (Grecìa). Nel ventesimo secolo troviamo nei testi poetici stessi delle lamentazioni funebri figure provenienti dall’antica mitologia greca: Caronte, Tanato, Parche o il Fato.
Anche se oggi la lingua ha subìto, come era nelle cose, una perdita di praticanti, la Grecìa salentina ha conservato e sviluppato intorno alla sua lingua e alla sua cultura una vivacità che pone sia l’area ellenofona che tutto il Salento come un ponte sul Mediterraneo. Attraverso la lingua grica la sua minoranza linguistica sta costituendo nuovi collegamenti culturali e linguistici sia con altre parti della Magna Grecia, anticamente estesa in Calabria e in Sicilia, sia con la stessa Grecia.
Questa nuova vitalità e sensibilità, soprattutto dei giovani, sta valorizzando tutto il panorama, molto variegato, della memoria orale delle tradizioni della Grecìa salentina che era costituita dai canti religiosi, e tra questi la Passione.

La passione: I passiuna tu Cristù
L a poesia popolare grica raggiunge una delle più alte espressioni nelle vicende che narrano la vita e la morte di Cristo
Tutti i linguaggi espressivi di una cultura, canto, poesia, teatro, si sintetizzano in questo dramma umano-divino, essenza stessa del divenire.
In questi canti si contemplano gli ultimi istanti, della vita di Gesù. Solo di fronte alla morte, solo nella condizione umana, con la propria responsabilità e tragica consapevolezza che l’essenza umana contempla la morte.
Nella Grecìa Salentina il Canto di


Passione ha resistito al tempo e alle mode, consegnandoci, attraverso il suo svolgimento liturgico, l’essenza del divenire umano.
La Passione in lingua grica può sicuramente essere considerata una delle forme più antiche di teatro popolare e espressione più genuina delle Sacre rappresentazioni che nel XII secolo erano presenti in tutta Italia.
La Passione può essere inserita a pieno titolo nella grande tradizione italiana del “Bruscello”. Con tale nome si intende solitamente una rappresentazione popolare che ha per oggetto eroi o personaggi biblici. Tale rappresentazione avveniva nella piazza o nei crocicchi dei paesi su dei palcoscenici che avevano come scene rami fronzuti e che di solito avveniva in un periodo dell’anno che andava dal carnevale alla settimana delle Palme.
La prima radice del Bruscello bisogna cercarla nelle feste rituali primaverili di epoca romana e preromana. Durante tali ricorrenze infatti, dopo essere stati nei boschi a prendere rami, le persone intonavano un canto portandosi di casa in casa a chiedere doni.
Ovunque il Bruscello poi era addobbato con nastri multicolori, di fiori e di arance come simboli e offerte di fertilità e buon augurio per l’arrivo della primavera.

La Passione veniva cantati nella settimana delle Palme. La vita nelle comunità a base agricola-pastorale era scandita dai grandi avvenimenti liturgici e fra essi la Pasqua con la sua liturgia complessa e piena di simbolismi, quali morte rinascita- resurrezione, che simboleggiano da sempre il risveglio della natura, il passaggio dall’inverno alla primavera.. Allora i nostri contadini smettevano i panni di duri lavoratori della terra e indossavano i panni di finissimi cantori , in questo caso della Passione tu Cristù.
In genere due cantori, un fisarmonicista o organettista accompagnati da un portatore di palma si presentavano nei crocicchi dei paesi e a turno , una strofa a testa, cantavano e mimavano la Passione di Gesù. Spesso si recavano anche nelle masserie a portare rappresentare la morte e resurrezione di Gesù.
Il ramo di palma (un pezzo di ulivo) era adornato con nastrini rossi o arance. Essendo la Passione un rito di passaggio e cadendo anche in un momento assolutamente particolare della vita cioè il passaggio dall’inverno alla primavera, che simboleggia la vita e la morte, questo canto si inserisce nei riti di passaggio propiziatori di benessere.
Il contenuto della Passione narra della vita e delle pene che patisce Cristo e del dolore straziante di una madre che si aggira dolente in cerca del frutto della vita: il figlio. La Passione rappresenta la pietas popolare e la modalità più complessa e articolata attraverso la quale il popolo esprime il suo misticismo e la necessità di comunicare con la divinità.
Si compone di circa 66 strofe le ultime delle quali sono una richiesta di ricompensa da parte dei cantori, che ottenutala, si spostano in un altro paese o in un altro crocicchio a ripetere la stesa rappresentazione.
Raccontano gli anziani cantori che a Martano esisteva una scuola per apprendere la Passione: gli “Stompi” che insegnavano non solo il testo ma anche la gestualità e la mimica.

La Passione è una delle poche rappresentazioni sonore e gestuali presente in tutti i paesi della Grecìa salentina, tanto forse da poter affermare che uno egli elementi caratterizzanti e unificanti la stessa Grecìa sia la Passione.
Ogni paese ha avuto in passato, ma anche adesso, dei cantori che hanno caratterizzato il canto della Passione attraverso la propria personale interpretazione sia gestuale che mimica.
Da qualche tempo il canto della Passione è stato ripreso nel suo più genuino significato sia canoro che gestuale. In quasi tutti i paesi della Grecìa gruppi di giovani, spesso aiutati e guidati da qualche cantore anziano, hanno ripreso a cantare la Passione. Anche nelle scuole negli oratori il canto della Passione è riproposto e a volte anche drammatizzato.
Durante la settimana delle Palme i ripropositori locali e alcuni provenienti dall’Italia centro-meridionale danno vita ad avvenimenti di grande interesse sia spettacolare che devozionale.
L’edizione 2007 dei Canti di Passione coinvolge tutti i paesi della Grecìa salentina creando un circuito che vede riproposti i Canti di Passione in tutti i luoghi in cui si cantava e si canta ancora la Passione.
Accanto alla tradizione musicale grika della passione, la proposizione di culture musicali provenienti da diverse parti d’Italia e del mondo che raccontano lo stesso tema, rende la rassegna del 2007 un contenitore straordinario che con forza rivendica un ruolo di conservazione e rilancio della musica popolare.
Dal 25 marzo al 1 aprile 2007 tutti e undici i comuni della Grecìa Salentina più i comuni di Alessano e Galatina, vedranno l’esibizione di gruppi musicali nelle suggestive cornici delle chiese più belle.
Un convegno ed una rassegna cinematografica tematici, racconteranno il tema della passione, grazie anche alla presenza di uomini di cultura e di fede. Responsabili culturali dei Canti di Passione sono Luigi Chiriatti e Gianni De Santis.

venerdì, dicembre 01, 2006

ROCCO DE ROSA "TRAMMARI"



Con "Trammari", il pianista e compositore lucano Rocco De Rosa prosegue il viaggio musicale cominciato con "Rotte Distratte" (2002), ma vira decisamente verso sonorità acustiche.

Un percorso che insegue ritmi e melodie appartenenti alla memoria sonora del Sud Italia ma che nello stesso tempo è stato reso attuale e moderno.

Come suggerisce lo stesso titolo, è il mare l'elemento intorno al quale ruota tutto il lavoro.

Il mare che quando non separa e allontana fa incontrare e unisce le culture, le lingue, i saperi (Trammari, Ir Dum, Tres pasos); il mare come unica via di fuga dalla fame e dalla disperazione che diventa luogo di morte per migliaia d'emigranti, corpi senza nome di cui nessuno saprà più nulla (Mare Monstrum), il mare orizzonte da contemplare, come spazio meditativo (Sto, Gading).

Il meridione è presente con il suo tempo dilatato, la lentezza del pensiero e dei gesti (Ritratto, Fragili derive, Timeless, Fratelli) ma anche con la sua disperazione (Il Male Divino, Estuari) e i suoi silenzi (Matera).

Interessante, oltre che bellissimo, “l’inseguimento”/il dialogo tra tasti del pianoforte di Rocco e gli armonici emessi da un tamburo a cornice. (Rosa di rabbia)

Il giardino di Giovanni scritto da Rocco De Rosa con Sergio Endrigo nel 89 è un omaggio affettuoso al grande cantautore scomparso, così come Pashkà è dedicato all'amico musicista, tecnico del suono Pasquale Trivigno che per anni ha registrato i dischi di Rocco De Rosa nel Little Italy Studio di Campomaggiore (PZ).

Nella realizzazione del disco è stato fondamentale l'apporto del gruppo che da alcuni anni accompagna il musicista lucano e che è composto da Barbara Eramo (voce), Andrea Di Cesare (violino) Antonio Franciosa (percussioni) Pasquale Laino (fiati) Pino Pecorelli (contrabbasso), Santi Pulvirenti (chitarra).

Tanti anche gli ospiti che hanno voluto dare il loro prezioso contributo: Maria Pia De Vito, Ralph Towner, Daniele Sepe, Marco Siniscalco, Michele Rabbia, Giovanni Di Cosimo, Riccardo Cimino.

ROCCO DE ROSA

Il pianista e compositore lucano Rocco De Rosa, vive e lavora a Roma dal '95.
La sua attività musicale si divide tra il lavoro di compositore in diversi ambiti artistici in particolare cinema (Moretti, Olmi, Reali, Maselli, Miniero, Genovese, La Nubile, Astuti) televisione, teatro e danza. Come pianista dirige per molti anni il gruppo multietnico "Hata", un progetto nato in seguito alla pubblicazione nel 1996 del cd "Trasmigrazioni" curato dallo stesso De Rosa con Daniele Sepe e Paolo Fresu. "Hata" è anche il titolo del cd pubblicato nel '98.

Il cd Rotte Distratte, della fine del 2002, ha rappresentato un ritorno alle sonorità e alla musicalità più strettamente legate alla cultura mediterranea attraverso un particolarissimo incrocio tra minimalismo, jazz e musica popolare.

E' stato presente nelle edizioni del 2003, 2004 e 2006 di Letterature - Festival internazionale di Roma, commentando al pianoforte i testi letti dagli autori Paco Ignacio Taibo II, Hanif Kureishi, Colson Whitehead, Abasse Ndione, Richard Ford e Sandro Veronesi, e dagli attori Paolo Bonacelli, Sandro Lombardi, Licia Maglietta, Valeria Golino e Isabella Ferrari.

Discografia:


1990 - Kufia, canto per la Palestina - ed. il manifesto
1994 - Officina - ed.Officina
1996 - Trasmigrazioni - ed. il manifesto/officina
1998 - Hata - ed. il manifesto /officina
1998 - Octofolium - ed. officina
1999 - Di pietra fragile - ed. officina
2000 - Disseminazioni. Silainfesta Live - ed. il manifesto
2002 - Rotte distratte - ed. il manifesto
2006 - Trammari - ed. il manifesto

etichetta IL MANIFESTO CD
distribuzione LIBRERIE del circuito FELTRINELLI e IL LIBRACCIO, punti vendita della catena RICORDI MEDIA STORES e MELBOOKSTORE, presso i NEGOZI DI DISCHI

giovedì, novembre 30, 2006

Tarantolati di Tricarico



News del 30 Novembre 2006

Prosegue la ricerca sui suoni "antelucani" dei Tarantolati di Tricarico, che da dicembre 2006 escono con un nuovo lavoro prodotto da CNI: "U' Scuatasc".

Quattro brani di questo nuovo Cd hanno avuto l'onore di essere scelti dal regista Mario Monicelli come soundscape della sua ultima creatura (Le rose del deserto), nelle sale a partire dal primo dicembre 2006. Altri "suoni" dei Tarantolati di Tricarico, saranno pubblicati dall'Unità in una compilation che uscirà tra pochi giorni.
www.tarantolatiditricarico.org

Il gruppo dei Tarantolati di Tricarico, nato nel 1975, deve i suoi allori al mitico locale romano FOLK STUDIO diretto da Giancarlo Cesarone.

Già dall'uscita del primo LP si è differenziato dagli altri gruppi di musica folk nazionali per il suo grande spessore ritmico, trascinante, di impatto immediato, oseremo dire globale in quanto non è necessaria nessuna tecnica esecutiva, ma esplica un atteggiamento che ogni comune mortale è in grado di eseguire partecipando emotivamente con qualsiasi mezzo.

Da questa premessa tutti i noti musicisti italiani si sono cimentaticon il gruppo in varie session che sono state affrontate senza nessuna preparazione ma pura e semplice improvvisazione. Il più delle volte ha mandato in delirio le platee, vedi "Bruxelles 1978 : ROCK AGAIN RAZISM", si è confrontato in Brasile con un gruppo di samba della PRIMA SCUOLA DI SAMBA DI RIO DE JANIERO.

Hanno collaborato con Dario Fò, Roberto Benigni, Renato Carosone, Guccini, Francesco De Gregori, Il canzoniere del Lazio, Nuova Compagnia di canto popolare.

mercoledì, agosto 02, 2006

Tarumba


"La Lucania è quella regione posta dalla parte della stella "Lucifero"e i suoi abitanti vennero a dirsi Lucani, cioè "abitanti delle terre orientali" dopo aver vinto la famosa battaglia contro i Turii nel 390 A.C. e dopo essersi scontrati con vecchi e nuovi coloni. Ma la Lucania è anche il luogo in cui il fiume della storia ha dovuto adattarsi ad un territorio tormentato,desolato,di nude argille,che smottano,franano e vanno al mare. Era il regno incontrastato del grano e della più dura fatica contadina.

Fu un vignaiuolo a far scrivere sul battente della sua porta <>.La Lucania è questo urlo lacerante di chi testimonia la propria presenza e il proprio modo di essere e di adattarsi al mondo, ma è anche l’alitare sommerso di uomini, donne e bambini costretti ad abbandonare la loro terra. E’ quel filo sottile, fatto di memoria che li riporta al vecchio sentiero che tiene avanti il mare e una finestra grande per l’amore.

La Lucania è l’America lontana dei padri sui piroscafi che notte e giorno aravano il mare. La Lucania è questo fuoco perennemente acceso in riva ad un fiume, e l’addio alle distese di ginestre, alle spalle larghe dei boschi che rompono la faccia azzurra del cielo. La Lucania è la sua musica, capace di sbatterci in faccia la sua unicità, la sua rabbia, la sua gioia, con le sue formule pure e complesse musica fatta di sudore di dolore e di felicità.

E’ musica fatta con i cubba-cubba, strumento ancestrale che scuote le viscere e che fa pulsare il sangue nelle vene, con la zampogna soffiata nella pelle della capra e col tamburo battendo la pelle del tenero coniglio. Il tutto legato alla ricerca musicale che Pietro Cirillo, leader del gruppo, svolge fin da bambino tra le mura domestiche, a Tricarico (egli ha mosso qui i suoi primi passi, sulla stessa terra che vide nascere ed ebbe la fortuna di essere amministrata da Rocco Scotellaro, poeta, martire e profeta lucano). La ricerca musicale di Pietro cresce e matura nel tempo, fino a farlo incontrare con Antonio Infantino, che, appassionato e mai stanco ricercatore, limpido musicista, studioso anch’egli di se stesso attraverso la sua lucanità, diverrà suo maestro e riferimento.

E’ questo il solco che i Tarumba vogliono percorrere, indagando l’incidere del tempo delle sonorità lucane, dalle tarantelle ai campanacci degli animali, dalle ninna-nanne al semplice rumore del vento, ad una strofa che si ripete ossessiva e sempre uguale nelle serenate di Carnevale a Tricarico.

I Tarumba rendono in musica le tracce di un mondo recondito che non riusciamo a ricordare, quelle atmosfere che ci è difficile afferrare restituendoci quelle emozioni che non siamo più capaci di assaporare.

Questo lavoro è da considerarsi, non solo una ricerca musicale che analizza in chiave mai retorica le proprie origini, ma una testimonianza sincera ed appassionata dell’esperienza di un mondo arcaico che ancora pulsa nelle vene di tutti noi attraverso le arterie della memoria.

Memoria che sempre ci riporta uomini indaffarati, attoniti e disattenti al canto accorto della Madre che culla ogni suo figlio stretto tra le braccia forti della nuda terra."


Luciano Zasa

Tarumba

giovedì, luglio 13, 2006

Milagro Acustico



Bob Salmieri affida alle note le memorie di un viaggio di formazione: quello che fece da bambino a Tunisi, città in cui suo padre era nato nel 1920 da una famiglia di Favignana.

Il disco, tratto dal volume omonimo di racconti dello stesso Salmieri, racconta del muoversi e dello stare. Se il viaggio è il cuore dell’idea di Mediterraneo come ponte che collega la Turchia alla Sicilia e i Balcani all’Africa, centrale è l’avamposto di Favignana, con la sua pigra sosta al Café, ritrovo di forestieri, viandanti, isolani, pellegrini.

È lì che si ascoltano le storie, è li che ognuno può aggiungere la propria narrazione.

Sulle tracce del precedente percorso dei Milagro, è l’afro-siciliano il dominio culturale di Bob Salmieri, senza disdegnare escursioni turche.

Genti che trasmigrano per riti da celebrare in "U spusaliziu", processioni senza un alito di vento in "Sanghe meu", mentre in "Dioulo" Pape Kanouté descrive con la kora i mercanti mentre tornano a casa in un tramonto di fuoco e sabbia.

Affidandosi alla ricchezza di una vasta varietà timbrica portata dall’ensemble (djembe, trombe, tabla, Steinwey) Salmieri alterna kaval, sax, baglama, clarinetto.

Il ney e il violino di Jamal Oussini piangono in "Profughi"; è rilassata dolcezza la voce di Daniela Barra in "Duci velenu".

Il Milagro disegna atmosfere di fatica e sogno allucinate in un dormiveglia crepuscolare, con un lavoro robusto, di scavo sulla tradizione senza calligrafie, che non cede alle mode"

Tratto da: www.cnimusic.it/milagroacusticostampa.htm

www.milagroacustico.com

lunedì, luglio 03, 2006

martedì, giugno 27, 2006

Gruppo Suoni


L'Associazione Culturale SUONI, costituita nel 1999, con sede in Terranova di Pollino provincia di Potenza, ha come scopo il recupero e la valorizzazione delle tradizioni popolari nel significato più ampio del termine, come la costruzione degli strumenti, (la zampogna, la ciaramella e la surdullina) il loro utilizzo e la necessità di tramandarne i contenuti alle future generazioni. In ambito all'Associazione opera il Gruppo di Musica Popolare SUONI che ha il compito di curare le tradizioni musicali e canore per poi proporle al pubblico sottoforma di spettacolo. Tra le altre attività l'Associazione organizza, durante l'anno, corsi di musica e di danza popolare per ragazzi.

mercoledì, maggio 31, 2006

La Taranta, il male ed il taoismo


Sono consapevole del fatto che mi sto avventurando sul terreno della fanta-filosofia/religione e della fanta-antropologia, ma sono quasi certo che qualcuno abbia già affrontato l'argomento (o almeno lo spero).

Per una serie di ragioni che non sto qui a spiegare, non posso fare a meno di fare alcune considerazioni sulla figura mitica della Taranta e della sua valenza antropologica e filosofica.

Io ho il sospetto che la Taranta rappresenti il Male (e fin qui niente di nuovo o originale), tuttavia, il Male rappresentato da questo animaletto non è quello che concepiamo noi figli della Chiesa Cattolica Romana, ma quello proprio della cultura che ci ha preceduti (quella che alcuni, per semplificare, definiscono "Pagana") e di cui oggi avvertiamo solo echi lontani o strani tentativi di rivitalizzazione (vedi dottrina del Neo-paganesimo).

I cattolici considerano il male, dal punto di vista metafisico, come l'opposto del bene, ossia, l'opposto dell'Essere, quindi, "un accidente della storia" e nulla di più (S. Agostino).

La cultura "Pagana", invece, rifiuta l'idea di una contrapposizione tra bene e male e rifiuta la morale, proprio come fanno, ancora oggi, i Taoisti.

Per i taoisti tutti gli opposti - torto e ragione, bene e male, salute e malattia, luce e oscurità - vanno accettati perché, come yin e yang, sono inseparabili.

In altri termini, per i taoisti è essenziale il concetto di dualismo: il mondo, l'universo, il mutare delle cose, è un continuo compenetrarsi e vicendevole rigenerarsi (ricorda niente?).

Ma tutto ciò che centra con la Taranta?

Non lo so ancora bene, ma intuisco che vi sia una connessione molto stretta.

Antonio Infantino


Poeta, attore, studioso di tradizioni popolari, chitarrista e cantante, Antonio Infantino cominciò la sua carriera artistica professionale a Milano, al mitico Nebbia Club, quando nel 1966, decise di lasciare la sua Lucania e in particolare il paese di Tricarico, dov'è nato e cresciuto.

Furono Fernanda Pivano e Giangiacomo Feltrinelli a convincerlo a pubblicare un libro di poesie e subito dopo Nanni Ricordi gli fece incidere un album e Dario Fo lo chiamò a lavorare nel suo "Ci ragiono e canto". Fu quello lo spettacolo che lo rese famoso, soprattutto attraverso una canzone, "Avola", che divenne uno degli "inni popolari" del '68 italiano. A conclusione di questa vicenda, Infantino dà vita al nucleo storico dei "Tarantolati", con i quali coniuga il suo estro libertario e totalizzante con l'esigenza di legarsi alle tradizioni autentiche e antichissime della sua gente lucana e ai suoi studi sociali, storici e filosofici.

La tradizione del tarantismo, resa nota nel dopoguerra dagli studi dei massimi demologi italiani (Ernesto De Martino e Diego Carpitella) è l'antecedente linguistico e rituale della tarantella, ed ha uno dei centri di irradiazione nel paese di Tricarico, dove Infantino è cresciuto. E qui in Lucania, per tradizione familiare prima che per studio e interesse filosofico e musicale, ne ha appreso la tradizione e gli inestricabili misteri.

Anche secondo Infantino, il tarantismo ha origini orfiche e pitagoriche (proprio Pitagora viveva e studiava a Metaponto, in vista di Tricarico) ed è comunque legato, fin dalle culture mediterranee pre-greche, ai complessi riti di possessione e di musicoterapia che dettero vita per esempio ai "fescennini" carnevaleschi delle genti etrusche e italiche. Tricarico, estrema propaggine meridionale del sistema appenninico, è stato da sempre un centro della transumanza delle greggi: dalla sua antichissima cultura, e da quella di altri centri collegati in tutto il Mediterraneo, sono partiti certamente gli elementi base non solo della tarantella, ma di gran parte delle musiche e dei riti tradizionali dell'area.

sabato, maggio 20, 2006

sabato, maggio 13, 2006

I "Totarella"


I "Totarella" sono un gruppo musicale dell'area del Pollino, composto da musicisti che hanno condiviso un unico progetto culturale e musicale: unire la tradizione calabrese e quella lucana.

Il repertorio, gli arrangiamenti, i testi, non sono mai frutto di banali operazioni folcloristiche, ma derivano da un minuzioso e sapiente lavoro di ricerca sul campo e dall'esperienza musicale di vita, che li ha portati a raccogliere, senza filtraggi accademici o etnomusicologici, l'eredità musicale pastorale e contadina trasmessa dalla generazione che li ha preceduti.

I Totarella, infatti, devono molta della sua "sapienza" a veri e propri giganti della musica popolare del Pollino: Carmine Salamone, Leonardo Lanza e tanti altri anziani suonatori e costruttori di zampogne, che hanno affidato - a questi giovani musicisti - l'eredità musicale di quei posti meravigliosi.

No al Nucleare in Basilicata

Tutto nacque il 13 novembre 2003 nella protesta di Scanzano Jonico. Un miracolo sociale in cui tutti eravamo uniti. Da quel giorno molti hanno maturato una coscienza ambientalista. Oggi siamo ancora qui, per lavorare e fare in modo che non ci siano più altre Scanzano Jonico.

Carnevale di Tricarico


Mi sono recentemente imbattuto in un etnomusicologo statunitense: Steven Feld (Università del New Mexico) il quale individua un legame molto stretto tra produzione sonora di un certo luogo e soundscape, ossia, l’attività sonora derivante dall’attività umana quotidiana, i suoni della natura, dell’ambiente circostante, ecc….

Ad esempio, in alcuni suoi studi etnomusicologici condotti presso comunità della Papua Nuova Guinea, egli dimostra un legame tra il canto degli uccelli della foresta e la musica di quei luoghi.

Recentemente, poi, ha studiato il fenomeno delle sfilate dei campanacci che caratterizza alcuni paesi dell’area meridionale delle Lucania (Tricarico, San Mauro Forte, ecc…).

Da questi studi - e da altri condotti nei Balcani, in Macedonia, ecc… - è addirittura scaturita una bellissima serie di CD intitolati “The time of bells”.

Un mio amico mi faceva notare, ad esempio, le possibili correlazioni tra certi modi di modulare la voce in Sardegna ed il belato delle pecore, o l’influsso che potrebbe aver avuto il canto/lamento ipnotico e defaticante delle tonnare in alcune forme musicali Sarde, Calabresi, Siciliane, ecc…

E' facile, poi, pensare all’incredibile soundscape dei mercati palermitani, al mercato del pesce dei paesi della costiera amalfitana, con i relativi canti a fronna.

Il gioco della falce




Unico e arcaico rito propiziatorio - il gioco della falce - era solito precedere il momento della mietitura.

Credits: Franco Pinna, San Giorgio Lucano, 1959

Jesce sole




"Jesce sole" è, in assoluto, la prima canzone del repertorio classico partenopeo di cui si abbia notizia. E' un'antica filastrocca conservataci da GianBattista Basile (1575-1632), il quale, nella lettera "All'uneco sciammeggiante" ne riferisce i soli due versi iniziali, dandone, poi, l'intero testo nella quarta giornata del "Cunto de li cunti".

"Jesce sole", canzone cantata al suono di calascioni, tamburelli e arpe, nasce nel periodo di Federico II di Svevia, quando il re radunava a se gli uomini d'ingegno e gli artisti. Dalle balze del Vomero si levava il canto semplice, ricco di reminescenze deistiche, all'astro che dà vita il giorno. "Jesce sole" è un'invocazione al sole, decaduta da un'arcaica funzionalità religioso-rituale. Ma, nonostante ciò, la filastrocca è stata conservata e tramandata nel tempo da piccoli scugnizzi partenopei che l'hanno cantata nei loro giochi.

Frame Drummers

 
Glen Velez, Lori Cotler, Andrea Piccioni, Paolo Cimmino, Raffaello Simeoni, Posted by Picasa

Lucan

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La mia batteria


Da piccolo avevo una bellissima batteria di latta tutta colorata, ma le bacchette non erano adatte al mio stile. Così, presi un vecchio manico di scopa, lo segai in due e cominciai a suonare.

Dopo pochi minuti la mia cara mammina entrò nella stanza e, senza dire nulla, aprì la finestra, prese la MIA batteria, la buttò dalla finestra, e uscì.

Senza dire nulla.

Da grande ho preso un bellissimo tamburello napoletano (Mimmuzza).

Suona che ti risuona, trilla che ti ritrilla, la mia compagna, un bel giorno, ha tentato di fare del male a Mimmuzza.

Allora, senza dire nulla, ho preso la mia compagna e l'ho messa vicino alla mia batteria tutta colorata.

Senza dire nulla.

Suoni

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Incubi


Voglio raccontarvi della prima volta che mi hanno concesso di suonare in pubblico.
Era tanto che aspettavo questo momento. Era tanto che sognavo di poter suonare la mia Mimmuzza (il mio tamburello), di farla vibrare con le zampogne e con le ciaramelle.

Ecco, mi chiamano. Ero pronto, allenato, istruito, carico e pure un po' mbriaco. Attendo il momento giusto, eccolo, il polso parte, il pollice incontra la pelle di Mimmuzza.

Ma Mimmuzza si piega, emette un urlo stridulo e vola, vola, vola via.

La sala rimane attonita, il mio maestro di tamburello assume un'espressione di disgusto e vomita, gli altri tamburellisti si fermano, immobili, qualcuno piange, la mia donna sviene dalla vergogna.

Le numerose ballerine vengono prese da una crisi isterica ed incominciano a strapparsi i vestiti di dosso. Neppure il lancio di nastri colorati riesce a calmarle. Qualcuno chiama la croce rossa.

Intanto Mimmuzza si abbatte su una lira calabrese del 1845, ricavata da un ulivo di 1200 anni, poi, con un sinistro sibilio di cimbali, recide il bordone e l'otre di una zampogna lucana da 50 palmi, per finire la sua corsa schiantandosi sulla fronte di uno degli ultimi ballerini di tarantella scherma locrese, che da quel giorno vaga per la locride con un radione sulle spalle ed Eminem a tutto volume.

La nana nera

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Tamburi del Vesuvio

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Principessa


Principessa

lunedì, maggio 08, 2006

Tamburellisti scarsi

Mi chiamo Kamammuri’s e sono un tamburellista scarso.

Soffro molto per questo. E faccio soffrire anche i miei familiari e chi mi circonda. Credetemi, non scherzo.

Vorrei smetterla con questo vizio, ma non ci riesco, è più forte di me.

Si, lo confesso, sono uno di quelli che, come dice Zorro, si accodano nelle ronde ai tamburellisti bravi e credono di fare loro ciò che invece stanno facendo quegli altri. Sono uno di quelli che, quando il tamburellista bravo smette, smette anche lui, perché prova disgusto e vergogna per il proprio suono sgangherato che, finalmente e con orrore e sorpresa, riesce a sentire distintamente.

Ho cominciato a tamburellare all’improvviso nell’estate del 2001 partendo da zero. Mi sono esercitato tanto, ho preso lezioni da mostri sacri, ho provato e riprovato ogni giorno per anni, ho ascoltato decine di CD, assistito a decine di concerti, mi sono scorticato le dita a più non posso, mi sono registrato e riascoltato, ho preso parte a innumerevoli ronde, ma niente da fare: dopo quasi 5 anni resto sempre e soltanto un tamburellista scarso.

E soffro tanto.

Pensare di smettere di tamburellare è per me impossibile. Quando mi allontano dai tamburelli sto molto male, mi intristisco e cado nella depressione più nera.

Ma quando provo a suonare sto ancora peggio, perché, come vi ho detto, sono un tamburellista scarso.

Voi non potete sapere quanto si soffre e cosa si prova in una ronda, quando ti senti il polso bloccato, perdi il filo, cominci a emettere suoni imbarazzanti e gli altri cominciano a guardarti male e, piano piano, persino con educazione (il che è peggio, perché vuol dire che sei proprio patetico) ti estromettono, mentre tu invece vorresti sentire la tua mano volare leggera sulla pelle e provare la beatitudine del bravo tamburellista.

Voi non potete capire.
...

Per favore, voi bravi, lasciateci stare, non intervenite, abbiate rispetto per il nostro problema, tanto, anche se voleste, non potete fare proprio niente per noi: ve l'ho detto: voi non potete capire.

Mi chiamo Kamammuri’s e sono un tamburellista scarso... AIUTO !

Mi chiamo Ezum e sono più scarso ancora

Caro Kamammury, devi sapere che ho incominciato a suonare all'età di 6 anni.

Avevo una bellissima batteria di latta tutta colorata, ma le bacchette non erano adatte al mio stile. Così, presi un vecchio manico di scopa, lo spezzai in due e cominciai a suonare. Dopo pochi minuti la mia cara mammina entrò nella stanza e, senza dire nulla, aprì la finestra, prese la MIA batteria, la buttò dalla finestra, e uscì.

Da allora non ho mai più avuto uno strumento musicale, fino al 25 luglio del 2000 quando ebbi la malaugurata idea di acquistare un bellissimo tamburello salentino (Mimmuzza).

E' stato l'inizio della fine. Da allora ho cominciato a frequentare corsi di tamburello, tammorra, danza popolare, etnomusicologia, etnotamburellogia, conferenze sull'origine aliena della tarantella, demonologia coreutica, comitati di studio sulle capacità del tamburello di modificare le onde alfa del cervello, corsi di formazione sulla costruzione faidate dei cimbali in argento e uranio arricchito, tecniche di allevamento delle capre da pelle sonante.

Ho percorso 520.000 chilometri per partecipare a tutte le feste religiose del mondo, dal deserto del Tagikistan alla tundra Spendendo decine di migliaia di euro.

Poi, finalmente, il grande giorno. Mi invitano a suonare in una ronda. Ero pronto, allenato, istruito, carico e pure un po' mbriaco. Attendo il momento giusto, eccolo, il polso parte, il pollice incontra la pelle di Mimmuzza.

Ma Mimmuzza si piega, emette un urlo stridulo e vola, vola, vola via.

La sala rimane attonita, il mio maestro di tamburello assume un'espressione di disgusto e vomita, gli altri tamburellisti si fermano, immobili, qualcuno piange, la mia donna sviene dalla vergogna. Le numerose ballerine vengono prese da una crisi isterica ed incominciano a strapparsi i vestiti di dosso. Neppure il lancio di nastri colorati riesce a calmarle. Qualcuno chiama la croce rossa.

Intanto Mimmuzza si abbatte su una lira calabrese del 1845, ricavata da un ulivo di 1200 anni, poi, con un sinistro sibilio di cimbali, recide il bordone e l'otre di una zampogna lucana da 50 palmi, per finire la sua corsa schiantandosi sulla fronte di uno degli ultimi ballerini di tarantella scherma locrese, che da quel giorno vaga per la locride con un radione sulle spalle ed Eminem a tutto volume.

Caro Kamammury, mi chiamo Ezum e sono più scarso ancora.

Credits: www.pizzicata.it

Metodo di ritmica di Ivano Torre


Un nuovo metodo per l'apprendimento della ritmica (introduzione alla lettura musicale), una concezione completamente nuova dell'insegnamento della musica in generale. Con quest'opera l'autore ha finalmente realizzato quello che da secoli si cercava: un modo più spiccio e più naturale per imparare a fare musica. Da diversi anni il metodo è testato da insegnanti, musicisti, musicologi e professionisti vari del settore.

Il risultato è sensazionale. E' stato definito unanimamente una pietra miliare nella didattica musicale. Nessun metodo attualmente conosciuto è paragonabile al Metodo Torre. Non solo: questo metodo facilita in modo straordinario la comprensione della ritmica.

Quello che con metodi tradizionali si apprendeva in un anno di studio, con il Metodo Torre si impara in pochissimi giorni; anzi, per essere più precisi, bastano poche ore. Proprio così

Dalla prefazione: Un nuovo metodo di introduzione alla musica, per giustificare la sua pubblicazione, deve contenere in sè il segno dell’originalità: deve percorrere una via diversa da quelle delineate dai modelli precedenti. Il lavoro di Ivano Torre segue la linea tracciata dalla storia stessa dell’autore, quella di un musicista naturale che si lascia guidare, nella sua ricerca, dalla pulsazione ritmica del suo essere. Il rapporto con la musica di Ivano Torre scaturisce da una capacità istintiva di percepire il ritmo del mondo che lo circonda. Questa caratteristica non viene meno neppure nei suoi lavori più complessi, più elaborati sul piano concettuale.L’amore per il ritmo (Torre è soprattutto percussionista anche quando è compositore o esploratore di nuovi effetti timbrici) l’ha portato a svelare a numerosi allievi i suoi segreti per riuscire a vivere la musica in modo spontaneo. Il suo “metodo di introduzione alla lettura musicale” è il risultato di lunghe esperienze didattiche. La qualità più evidente del manuale è quella di evitare accuratamente, nella parte introduttiva, la grafia musicale. Torre inventa una notazione personale, comprensibile anche a lettori completamente privi di nozioni. Ciò permette di instaurare un immediato rapporto di fiducia tra l’insegnante e l’allievo.Solo quando i concetti di base del ritmo sono assimilati (tramite numerose esemplificazioni tratte dai gesti quotidiani e verificati con esercizi musicali progressivi) si passa dal metodo grafico creato dall’autore a quello tradizionale. L’allievo è in grado in poche lezioni di capire le regole di base verificando ogni concetto con il più naturale degli strumenti: il corpo, che si esprime con i passi, il battito delle mani, la sillabazione, gli scioglilingua.Il tutto è accompagnato da semplici testi esplicativi, di facile approccio e convincenti perché pervasi da un profondo e genuino amore per la musica.

Pietro AntoniniDirettore artistico della Fondazione per l’Orchestra della Svizzera Italiana.

Esperienza diretta: Ho acquistato il Testo del Maestro Ivano Torre, l'ho letto, ho provato il suo metodo, ha funzionato. Provare per credere.

Link: www.ivanotorre.ch